RIFORMA COSTITUZIONALE: STRUMENTI DI
DEMOCRAZIA DIRETTA
1) INTRODUZIONE
In questa breve analisi della riforma
costituzionale, il cosiddetto DDL Renzi-Boschi, approvato in seconda lettura il
10 marzo 2016, vogliamo soffermarci sugli istituti di democrazia diretta. Anche se queste tematiche potrebbero apparire
meno rilevanti di altre questioni poste all’interno della lunghissima e
complessa revisione costituzionale, essi sono istituti fondamentali soprattutto
per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella vicende politiche e sociali del
nostro Paese, tanto più che gli ultimi decenni hanno rivelato una crisi
profonda della partecipazione democratica.
Nel dibattito delle tesi a sostegno del sì o
del no, la materia dei referendum e delle leggi di iniziativa popolare risulta
essere una questione molto controversa. Da un lato anche alcuni sostenitori del no esprimono segnali di
favore alla revisione degli articoli 71 e 75 della Costituzione relativi alla
democrazia diretta, dall'altro i sostenitori della riforma ritengono, invero,
che “con la riforma, la democrazia italiana diverrà autenticamente
partecipativa”.
Se è certo che le proposte di iniziativa
popolare e i referendum sono strumenti attraverso i quali il popolo può
direttamente manifestare la propria sovranità, è opportuno chiedersi in che
modo una riforma degli istituti di democrazia diretta possa garantire un
maggiore coinvolgimento e una partecipazione più attiva dei cittadini alla vita
politica, in considerazione degli evidenti e crescenti segnali di sfiducia e
allontanamento dalle istituzioni manifestato da un numero crescente di
cittadini.
La questione è molto spinosa e il tentativo di
riformare i suddetti articoli annida parecchie perplessità e numerosi dubbi. In
questa relazione si cercherà di offrire alcune considerazioni confrontando la
Costituzione vigente con le indicazioni contenute nella Riforma.
2) LE PROPOSTE DI INIZIATIVA POPOLARE
Il primo strumento di democrazia diretta in
analisi è quello enunciato dall’art. 71 della Costituzione, ossia l’iniziativa
legislativa popolare. La riforma di detto articolo, che nelle intenzioni del
legislatore intende garantire tempi certi per l’esame delle proposte di legge,
eleva però il numero delle firme necessarie per la presentazione del progetto
di legge: esso viene triplicato, passando da 50 000 a 150 000.
Si introduce poi il principio secondo cui
devono essere garantiti l’esame e la deliberazione finale, obblighi rimandati,
però, e da stabilire nei regolamenti parlamentari. Ciò produce non poche
perplessità, visto che si sarebbe potuto inserire direttamente nella riforma
l’obbligo di pronuncia sulla richiesta da parte del Parlamento. Se si considera
che negli ultimi 30 anni solo tre proposte di legge di iniziativa popolare sono
diventate leggi della Repubblica, appare anomala l’introduzione
dell’innalzamento delle firme necessarie per presentare il progetto, in
particolare se l’obiettivo prospettato dalla riforma è quello di mantenere la
politica in sintonia con il corpo elettorale, favorendo una maggiore
partecipazione.
Chi è di parere contrario sostiene che la
revisione costituzionale in tal senso potrebbe ulteriormente scoraggiare la
partecipazione dell’opinione pubblica alle vicende politiche, economiche e
sociali.
I sostenitori del sì, di contro, sottolineano
che proprio l’innalzamento del numero di firme sarebbe uno strumento per
coinvolgere un maggior numero di persone intorno ad importanti tematiche e la
proposta di legge con il triplo delle firme necessarie, per il maggior peso e
consenso sociale, contribuirebbe ad una scrematura e a sostenere iniziative
realmente sentite dalla popolazione.
In verità, come affermato in precedenza, e
come espresso anche dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, un
innalzamento delle firme, stante anche la laboriosità connessa alla raccolta
delle stesse, non sembrerebbe poter avvicinare il corpo elettorale alla vita
politica, ma piuttosto potrebbe segnare un'ulteriore distanza tra il cittadino
e le istituzioni. Sarebbe forse stato auspicabile introdurre una qualche forma
di vincolo per l’esame obbligatorio della proposta, oppure una traduzione delle
iniziative popolari in referendum propositivi qualora il Parlamento non volesse
o non potesse pronunciarsi.
Come già dettato dalle norme vigenti, non sono
previste particolari limitazioni al contenuto delle proposte: potranno quindi
essere presentati progetti di legge ordinaria o costituzionale che riguardano
qualsiasi materia, fatta ovviamente eccezione per gli ambiti di legge ad
iniziativa riservata.
3) REFERENDUM ABROGATIVO
Altro strumento di democrazia diretta
modificato dalla riforma è quello regolato dall’art. 75 della Costituzione,
ossia l'istituto del referendum abrogativo.
La novità più interessante a riguardo è
sicuramente costituita dalla modifica del quorum. Qualora la richiesta sia
stata avanzata da almeno 800.000 elettori, il referendum risulta valido se si è
recata alle urne la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera
dei deputati. Resta invece immutato il quorum, se a richiedere il referendum
sono stai almeno 500.000 elettori, oppure 5 consigli regionali.
Il tema dell’abbassamento del quorum è molto
sentito, dato che negli ultimi tempi gli elettori hanno mostrato scarso
interesse verso i referendum oppure hanno rinunciato ad esprimere il proprio
parere. Solo nel 2011, infatti, è stato raggiunto il quorum della maggioranza
degli aventi diritto al voto con circa il 55% dei votanti.
In merito vi sono due posizioni: alcuni
propongono l’abolizione del quorum, altri ne sostengono invece l’assoluta
necessità. La modifica del quorum, così come prospettato dalla riforma, lascia
molti dubbi: sarebbe stato forse più sensato dettare un quorum fisso, piuttosto
che legarlo alle ultime votazioni della Camera dei deputati.
Forse sarebbe stato preferibile il compromesso
prospettato dal Professor Antonio Agosta, cioè la possibilità che il referendum
sia valido se si reca a votare la maggioranza assoluta degli aventi diritto,
come adesso, ma anche, nel caso in cui questa soglia non venga raggiunta,
qualora almeno un quarto del corpo elettorale manifesti il suo assenso al
quesito proposto. In questo modo si
potrebbe ipotizzare che l’astensionismo, una sorta di "non voto" volto in molti casi a
far prevalere il no all’abrogazione, possa essere evitato o essere meno
influente sull'esito finale.
Per ciò che attiene al numero delle firme, si
ritiene opportuno qui sottolineare quanto sia problematico raggiungere le
800.000 firme necessarie a garantire l'abbassamento del quorum, dati i tempi
ristretti accordati dalla legge per sostenere la richiesta di referendum. Ne
consegue che potrebbe essere molto difficile dare applicazione al primo comma
dell’art. 75 riformato. Inoltre, non si comprendono le ragioni che legano
l’abbassamento del quorum al numero delle sottoscrizioni raggiunte.
I sostenitori del sì, nelle loro
argomentazioni a sostegno della riforma, fanno della riduzione del quorum uno
dei loro cavalli di battaglia, anche se nella pratica potrebbe non essere utilizzabile,
oppure abbassarsi in presenza di un decremento della partecipazione popolare
alle elezioni politiche. Tutto ciò sarebbe quindi molto lontano dell'obiettivo
prospettato dalla riforma degli articoli 71 e 75, cioè favorire una maggiore
partecipazione della cittadinanza alla vita democratica.
Merita inoltre una citazione la modifica
prospettata al terzo comma dell’articolo 75, in cui viene cambiata la dicitura
che riguarda i fruitori dell’istituto referendario. La locuzione “tutti i
cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati” è sostituita con la più
semplice “tutti gli elettori”. Ciò è ovviamente da porre in relazione all’art.
57 della Riforma, alla luce del fatto che il Senato risulta non essere più un
organo elettivo.
Un'altra modifica, dal valore puramente
formale, riguarda gli atti che possono essere oggetto di referendum, per i
quali si fa riferimento agli "atti aventi forza di legge", anziché
agli "atti aventi valore di legge". Sappiamo infatti che le due
espressioni sono considerate equivalenti ed utilizzate indifferentemente l’una
al posto dell’altra.
4) REFERENDUM PROPOSITIVO E DI INDIRIZZO
Sempre con l'intento di favorire la partecipazione
democratica, con le modifiche apportate all’articolo 71 si vogliono aggiungere
all’ordinamento costituzionale due nuove tipologie di referendum: quello
propositivo e quello di indirizzo.
Nel merito il primo profilo problematico che
emerge riguarda il fatto che la norma in questione non è immediatamente
applicabile, in quanto si rinvia semplicemente ad una successiva legge
costituzionale la possibilità di disciplinare quella specifica forma di
consultazione popolare. Come enunciato dall'articolo 71 riformato, infatti,
spetterà ad una legge costituzionale “la definizione delle forme di consultazione
e anche delle formazioni sociali”.
Per quanto attiene ai nuovi istituti
referendari, il referendum di tipo
propositivo risulta essere una interessante novità per l’esperienza
costituzionale italiana, anche se esso è previsto a livello regionale con fonte
statutaria. Si fatica tuttavia a comprendere la scelta di non introdurre immediatamente
in Costituzione una compiuta disciplina in tal senso. Questa “mancanza”
potrebbe avere non pochi effetti e procrastinare in modo indefinito e incerto
l’attuazione dell’articolo 71.
Da notare, in aggiunta, che la disciplina del
referendum propositivo risulta essere eccessivamente ampia per essere rimandata
ad una legge costituzionale. La genericità della riforma potrebbe quindi dare
poca incisività e utilità a tale strumento, tenuto anche conto che sono
demandate ad una legge ordinaria bicamerale le modalità di attuazione delle
consultazioni popolari.
Tuttavia l’art. 62 dello Statuto della regione
Lazio potrebbe essere preso ad esempio per la formulazione della successiva
legge costituzionale per la determinazione del referendum propositivo
Il
referendum di indirizzo,
attuato solo una volta, nel 1989, contestualmente al rinnovo del Parlamento
europeo, fu indetto con legge costituzionale e al fine di chiedere parere in
merito al conferimento al Parlamento europeo del mandato per la redazione del
progetto di Costituzione europea. Questo strumento, che già allora ebbe molte
critiche, fu definito, da molti, sostanzialmente inutile.
Risulta molto difficile dare una lettura e una
valutazione di questi due nuovi strumenti di democrazia diretta, poiché non
sono state ancora poste in essere le norme di attuazione dei due referendum. Si
evince però la volontà del legislatore di introdurre questi strumenti per convincere
la popolazione a sostenere la riforma, con la promessa di un maggiore peso
della cittadinanza nelle decisioni politiche.
5) CONCLUSIONE
Gli istituti presi in esame e le modifiche ad
essi associate possono apparire meno rilevanti e con impatto ridotto se
considerati nel macroscopico tentativo messo in atto dal legislatore di
superare il bicameralismo paritario e di rivedere la ripartizione delle
competenze Stato-regioni. Tuttavia, essi a mio parere, paiono un'opportunità
sprecata di migliorare gli strumenti messi a disposizione del cittadino per
partecipare alla vita politica.
I cambiamenti attesi da tempo, come ad esempio
l’abbassamento del quorum per i referendum abrogativi, o una maggiore garanzia
di conclusione positiva per le iniziative legislative popolari, non trovano
piena attuazione, con modalità certe e tali da favorire una partecipazione maggiore e più consapevole
del corpo elettorale.










